Sailing down the river alone

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Ho fatto tutto da sola da quando ho capito che il peso di me stessa non posso lasciarlo sostenere a nessuno. Il tempo mi ha screpolato le mani come faceva quel sapone poco rispettoso del pH della mia pelle. E’ stato severo, ingiusto, arido e sfacciato. Spesso ho pensato di dover necessariamente mandare tutti i frutti degli sforzi in fumo per indurlo a rallentare e ad essere più clemente ma non mi ha cagata di striscio. Alla fine sono sempre qua, con tutti i pezzi di carta che ho stracciato. Ho preso fogli nuovi. Tutti bianchi. Ancora.

Ho provato a scrivere più e più volte. Ho cambiato fogli, penne, occhiali, personalità, colore dei capelli, giudizio. Non sono mai riuscita a scrivere una parola. Ora è diverso solo perchè mi sento più coraggiosa e più pronta ad affrontare il fatto che non sempre riesco ad essere chiara a me stessa. Mi ha dato fastidio che il fiume io l’abbia dovuto percorrere da sola, che io abbia dovuto assorbire tutta l’umidità delle intemperie e respirare un’aria che non mi apparteneva con l’aspirazione a volerla nei polmoni per sempre e con la consapevolezza di dover smaltirla durante il viaggio verso casa. Sembro un fottuto meteorologo.
E’ stato difficile svegliarmi e allacciarmi le scarpe la mattina per circa un mesetto. Ho avvertito quella sensazione di spossatezza tipica di chi è depresso e/o stanco di correre. Io non ho corso mai, però. Ho sempre e solo avuto la sensazione di stare correndo e ho fatto in modo che tutti gli altri lo percepissero e avessero tipo… pietà di me.
Il modo in cui sono arrabbiata con me stessa non può essere descritto. Ho lasciato che tutto mi capitasse, ho dato il permesso a chiunque di toccarmi, non mi sono protetta più. L’illusione che io stessi correndo mi faceva sentire intoccabile ma alla fine tutti mi hanno sfiorata e io ho innalzato il mio stupido trofeo senza un reale motivo e senza che neanche mi fosse dovuto. Il mio trofeo è la convinzione.

Quando sono in macchina con mia madre metto sempre in play la stessa canzone: Listen Up degli Oasis. Non lo faccio mica per me! Lo faccio per lei, perchè spero sempre che possa parlarle al posto mio di me e dei miei sogni, delle mie ambizioni, di quello che vorrei fare per me e per la mia maturità. Lo faccio perchè quando il tizio comincia a cantare sembra che abbia il mio cuore al posto del suo e quindi i suoi battiti e la loro velocità sono uguali ai miei. Ha gli stessi brividi che ho io quando sente la speranza che qualcun altro legga se stesso tra le righe della sua canzone espandersi nel petto, secondo me. Tanto i brividi non cambiano mai. Anche nel 1994 erano così, forse.
La gente non mi ascolta più da circa 3 anni. Parlo da sola, parlo a me stessa. Tutto quello che penso è compresso e  diventa un groviglio che non riesco a trasformare nemmeno in parole. E quindi non scrivo più.
Quando sono in macchina con papà, invece, metto in play solo le canzoni anni 70/80 che piacciono  a lui. Non lo faccio mica per lui, però! Lo faccio per me. Sembra che ascoltandole io mi convinca di avere l’età di mio padre e le sue spalle larghe e mi sento meglio. Mi sento più vicina alla pace. Dei miei anni ne parlano tutti male. Dicono che siamo in guerra e che la generazione è bloccata e mentalmente sterile. E allora io che ne faccio parte mi sento in dovere di distaccarmene almeno per 10 minuti. Bastano e avanzano perchè, da masochista quale sono, voglio subito tornare a farmi mancare gli anni che non ho mai vissuto.
Dato che nessuno prova più niente di concreto e fondamentalmente neanche io, mi diverto a ricevere i duri colpi dell’impossibilità di riprodurre realtà passate. A cosa mi sono ridotta?

Quando sono in macchina da sola io la musica la metto comunque perchè dato che al casino che ho nel cervello non potrò mai dare un ordine, ne approfitto per disordinarlo ancora di più. Tanto il disordine un senso ce l’ha. Mi piace tipo ascoltare cose che credo e spero di aver già ascoltato prima di nascere perchè mi portano ricordi di posti che credo e spero di aver già visitato prima di nascere. Insomma di questo presente mi piace solo il fatto che vivo, la modalità la detesto. Il difetto delle persone come me è quello di crogiolarsi nella staticità delle situazioni. Il pregio è quello di riuscire ancora a provare paura di rimanere fermi per sempre. Per questo ho una playlist infinita.

Credo che la cosa che ami di più al mondo sia suonare la chitarra all’aperto. Non ho mai paura di nulla quando lo faccio. Non ho paura neanche delle api durante le giornate calde!
E sembra che io voglia spontaneamente che il sole mi illumini o che la pioggia mi bagni senza pensare alle conseguenze. Un pò come quando amo. Io mi inchino alla potenza del mondo, io non sono onnipotente. Io sono ancora una che vive.

3 pensieri su “Sailing down the river alone

  1. Trovo brillante questo tuo modo di apparire ogni volta sul Blog, con intermezzi di tempo molto distanti ma interventi molto profondi. E queste assenze purtroppo non permettono di arrivare a tanti, ma credo che il tuo modo di raccontare sia quello più vicino al senso che si possa dare a un Blog, quello per cui è nato. Complimenti.

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    • Ti sono estremamente grata per questo commento, come per tutti gli altri. Io sono una presenza incostante su questo blog mentre tu, unododici, mi hai sempre seguita e quindi il tuo parere ha un gran valore. Con l’arrivo dell’estate scriverò di più perchè aumenta il tempo a disposizione e anche la necessità.
      Grazie mille, davvero.

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      • Grazie a te, non mi ricordavo di te dal nick name, però ti seguivo da molto e cercando in fondo tramite i post vecchi ho scoperto che sei Chiara. E ho ritrovato il mio primo commento al tuo primo post, e oggi come allora sono felice di leggerti. Quindi aspetto tuoi nuovi post estivi 😉😊

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